Cazzo Lorenzo, siamo in Giappone.
Sono passati tre mesi e già tutto appare normale.
A riprova della futilità di questa parola, la normalità è tutto ciò che diviene abituale, perché meglio conosciamo una cosa, meglio siamo in grado di prevederla.
In poche parole meno pericolo percepiamo, più siamo in grado di controllare lo scenario, più normale esso ci appare.
Ma quanto stona questa parola, quanto è bugiarda.
Cazzo Tobi, siamo in Giappone.
Il problema sorge quando si inizia a dare per scontato questa normalità, ed è fottutamente facile.
Non dico che non sia rassicurante tornare nella tua stanza dopo una gita fuori porta, e sentire il richiamo sicuro di un luogo noto, odori riconoscibili e ritrovare la cartaccia esattamente dove l’avevi lasciata.
Ma nella ciclicità delle azioni ci dimentichiamo di dare il giusto valore alla giornata che stiamo vivendo.
Io e Lorenzo, il mio compare di viaggio qua in Giappone, ogni tanto ci ricordiamo a vicenda di essere in Giappone.
Nasce come una battuta per riempire spazi vuoti di conversazione, e mai come ora assume un valore di indistinguibile importanza.
Non ci vuole molto a riconoscere dell’unicità nel viaggio che stiamo compiendo, eppure basta poco per accontentarsi di un sorrisino di scarsa caratura.
E invece no, perché siamo dall’altra parte del mondo, e stiamo vivendo un sogno, qualcosa che ci cambierà per sempre.
Dobbiamo urlarlo a squarciagola, ricordare al mondo e a noi stessi quanto sia bello. Le persone si dimenticano di quanto sia bello essere vivi, si dimenticano di cosa hanno e di cosa possono perdere. La gioia di vivere, il riconoscimento per la bellezza della vita. Quanto ci manca questa cosa.
Nelle giornate più pesanti, in quelle più noiose, nei giorni in cui si ha paura, nei giorni in cui si sta troppo bene e in quelli in cui va tutto male, ricordiamoci dell’immenso privilegio che abbiamo nell’essere lì in quel momento.
Se tutto questo ti sembra troppo difficile, se svegliandoti la mattina senti un urgenza feroce di sfuggire dalla normalità in cui ti trovi, allora la diagnosi è diversa. La normalità di per sé non ha colpe, ma il problema ribolle nell’interpretazione dell’idea stessa di normalità.
Se diventa sinonimo di sicurezza, rischiamo di rinchiuderci in gabbia da soli, e la nostra mente è campione mondiale di illusionismo.
L’illusione di essere nel posto giusto solo perchè siamo protetti è la più bastarda tra le tante. E senza generalizzare, forse la causa non ricade nella normalità delle cose, quanto nell’accettazione di una normalità che non ci appartiene.
Accettato il fatto che non tutti i “normali” vengono per nuocere, va anche sottolineato che per ricercare del nuovo, bisogna pur sempre passare per terreni ignoti.
E questo significa inevitabilmente avere paura, esporsi al rischio.
Ora, cosa succederebbe se provassimo a smantellare questo dualismo tra normalità ed anormalità? Perché deve essere uno o l’altro?
Immagina gioire di quel connubio di adrenalina e paura, quella botta di vita che ti accende qualcosa dentro.


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